La nausea: la gratuità dell'esistenza
Ne La nausea questo punto di vista viene approfondito: l'uomo si trova come gettato nel mondo, indipendentemente dalla sua volontà, e il mondo è la sua contingenza (forti le analogie con il dasein di Heidegger). L'uomo si trova dunque nello stato di non poter rifiutare la sua esistenza, il mondo come contingenza significa infatti che l'esistere nel mondo e il relazionarsi con esso rappresentano una necessità che ciascun uomo non può eludere.
L'uomo, dunque, può anche pensare il nulla, ovvero può immaginare la non esistenza del mondo, ma il mondo non scompare, è sempre lì, nella sua evidenza, e anche il pensiero del nulla rientra nell'insieme delle cose esistenti.
Oltre a questo, la considerazione fenomenologica che sta al fondamento dell'esistenzialismo sartriano, non può che ammettere che non esiste alcun essere necessario (non esiste alcun Dio) in grado di garantire e di attribuire un preciso e determinato significato al mondo, infatti l'esistenza è già di per sé compiuta entro i suoi limiti, l'esistenza è assolutamente gratuita, senza scopi e senza fini che non siano quelli di rendere esistenti (e contingenti) gli uomini. La condizione di chi si sente esistere è già vissuta come realtà necessaria, seppure assurda perché senza uno scopo apparente (viviamo per vivere e per morire, gli enti ci vengono incontro come fenomeni e possiamo dedurli solo se vengono in contatto con la nostra coscienza).
La nausea che prova Anton Roquentin, il protagonista del romanzo, proviene proprio dalla consapevolezza di essere immerso in questo condizione di sostanziale gratuità della vita, ovvero il sentire la vita come priva di un senso necessario che in altre epoche gli era stata attribuita da Dio.
La vita, secondo Roquentin, nel momento in cui ci appare come un unico e inevitabile flusso di esperienze senza un senso proprio, provoca la grande vertigine della nausea.
Sartre lamenta il fatto che la realtà non ci indichi alcun fine e alcun significato, e tuttavia, questo significato, può essere ricercato individualmente: questa possibilità aperta ad ogni soluzione è per analogia simile al meccanismo che determina l'angoscia in Kierkegaard, seppure egli avesse trovato la soluzione nell'abbandono al puro atto di fede irrazionale.
IL LIBRO
La Nausea è un titolo che definisce una cosa, una sensazione particolare: è un malessere fisico al contempo circoscritto (nausea da mal di stomaco) e vago, indefinito (nausea come malessere generale). È un malessere fisico che si accompagna anche di un preciso stato d'animo, fatto di noia, di mollezza, di disgusto per ogni cosa. Come titolo ha un che di repulsivo; esso prepara il lettore a sentir parlare di un malessere, ma anche, forse, a provare egli stesso nausea. Ovviamente non si sa di che cosa è nausea, perché può essere nausea di tutto.
Il racconto si svolge alla prima persona: il protagonista corrisponde al narratore. Questa scelta sembra legarsi bene al soggetto del titolo: la nausea è una sensazione di malessere che non si vede oggettivamente, ma si sente soggettivamente, e nessuno meglio di un IO narrante può quindi raccontarla.
La sensazione di nausea che permea tutto il romanzo, e in particolare questo passo, si esplica in un universo spaccato in due: da un lato la scatola chiusa, il mondo ristretto dell'IO, fatto di oggetti animati di vita propria e non riconoscibili; dall'altro il mondo esterno, popolato da un gruppo compatto di uomini sentiti come ostili e nemici, altrettanto irriconoscibili. Tutto il romanzo si svolge infatti sull'impossibilità di una conciliazione tra l'IO e GLI ALTRI.
La crisi della parola diventa il processo complementare di una profonda crisi d'identità dell'IO, che trovandosi da solo in un mondo che appare diverso e, finalmente, più vero, deve cercare nuove coordinate per poter continuare a pensarsi come un soggetto che esiste. È per questo che la nausea di questo romanzo diventa il simbolo del malessere moderno, di quel malessere provato all'inizio del XX secolo da tutta una generazione in Europa, un malessere non bene definito ma sicuramente vicino a una crisi d'identità soggettiva in un mondo fatto di oggetti sentiti come estranei, e retti da leggi umane non interiorizzate.