Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto, e se così fosse.. mille volte vorrei nascere per mille volte ancor morire.
Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia.
Come avete potuto smettere di nutrirvi di questa montagna di neve, per pascervi invece di questo moro? Ah, non avete occhi? (Amleto; atto III, scena IV)
Oh! così questa troppo solida carne potesse fondersi, dimoiare e dissolversi in rugiada: o che l'Eterno non avesse stabilito la sua legge contro l'uccisione di sé! O Dio! o dio! come tediosi, vieti, insipidi e non profittevoli sembrano a me tutti gli usi di questo mondo! Come l'ho a schifo! O schifo! è un giardino non sarchiato che va in seme; piantacce andate in rigoglio e grossolane lo posseggono tutto. Che si dovesse venire a questo! Morto da soli due mesi! anzi, non da tanto, nemmeno due: un re così eccellente: ch'era, rispetto a questo, quel ch'è Iperione a un satiro; così amorevole per mia madre, che non poteva permettere che i venti del cielo visitassero troppo rudemente la sua faccia. Cielo e terra! debbo io ricordare? ebbene, ella pendeva da lui, come se il desiderio si fosse accresciuto di ciò di cui si pasceva; e pure, entro un mese! Ch'io non ci pensi: Fragilità, il tuo nome è donna! Un mesetto! prima che fossero vecchie quelle scarpe con le quali ella seguì il corpo del mio povero padre, come Niobe, tutta lacrime, ebbene lei proprio lei – o Dio! una bestia, a cui manca il discorso della ragione, avrebbe pianto più a lungo – sposata a mio zio, il fratello di mio padre, ma non più simile a mio padre che io ad Ercole. Entro un mese! prima ancora che il sale di quelle inique lagrime avesse lasciato il rossore nei suoi occhi gonfi, ella si è sposata. Oh, malvagia fretta, accorrere così lestamente a lenzuola incestuose! Non è bene e non può venire a bene; ma spezzati, mio cuore, perché io debbo frenare la lingua! (atto I, scena II)
I commedianti non son capaci di tener segreti; dicono tutto.
Il diavolo ha il potere di comparire agli uomini in forme seducenti e ingannatorie.
La brevità è l'anima del senno, e il parlar troppo un fronzolo esteriore.
Pur se tu sia casta come il ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia. Vattene in convento.
È una bella prigione, il mondo.
Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita che la verità sia mentitrice, ma non dubitare mai del mio amore.
Essere o non essere, questo è il problema. È forse più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna, o imbracciar l'armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e, combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire, dormire. Nient'altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest'è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. È proprio qui l'ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci siamo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga! Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell'oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell'amore non corrisposto, gli indugi della legge, l'insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale? Chi s'adatterebbe a portar cariche, a gèmere e sudare sotto il peso d'una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte - quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore - confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla. A questo modo, tutti ci rende vili la coscienza, e l'incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza, devìano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d'azione. (Amleto - atto III, scena I)
Spiriti e voi, ministri delle Grazie, difendeteci. Che tu sia spirito di salvezza o dannazione, che tu porti aliti di paradiso o miasmi d'inferno, che le tue intenzioni siano malvage o pietose, tu vieni con un aspetto così pronto alle risposte che io ti parlerò, ti chiamerò Amleto, re, padre, danese regale, rispondimi! (Amleto)
Sappiamo ciò che siamo, ma non sappiamo ciò che potremmo essere. (Ofelia)
Quanto ad Amleto e alla corte che ti fa, considerala galanteria, capriccio, una viola nella primavera della giovinezza, precoce ma non durevole, dolce ma non costante, nient'altro che un profumo e lo svago di un minuto... (Laerte ad Ofelia)