Gioia del pittore
I campi portano grano e costano denaro,
sono insidiati i prati dal filo spinato,
bisogno e avidità hanno allignato,
tutto appare murato e corrotto.
Ma qui nei miei occhi alberga
un ordine diverso di ogni cosa,
si estingue il violetto, la porpora troneggia,
di lei io canto la canzone innocua.
Giallo su giallo, e giallo unito a rosso,
fresco azzurrino velato di rossore
luce e colore balza di mondo in mondo,
s'inarca e risuona in onde d'amore.
Regna lo spirito che ogni morbo guarisce,
risuona verde da rinata sorgente,
nuovo e ricco di senso il mondo si spartisce
e il cuore si fa lieto e lucente.
Nella nebbia
Strano, vagare nella nebbia!
E' solo ogni cespuglio ed ogni pietra,
nè gli alberi si scorgono tra loro,
ognuno è solo.
Pieno di amici mi appariva il mondo,
quando era la mia vita era ancora chiara;
adesso, che la nebbia cala,
non ne vedo più alcuno.
Saggio non è nessuno
che non conosca il buio,
che lieve e implacabile
lo separa da tutti.
Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è solitudine.
Nessun essere conosce l’altro,
ognuno è solo.
Di notte
Oh quante volte mi svegliò il pensiero
che or nella notte naviga un veliero
alla ricerca di sponde marine
che la mia brama vorrebbe vicine...
che in uno a tutti sconosciuto sito
arde una rossa aurora boreale...
che un braccio femminil bello, tornito,
brucia d'amor sul candido guanciale...
che un amico a me dato dalla sorte
ghermito è lungi in mar da oscura morte...
che ora la mamma mia, seppur non mi ama,
forse nel sonno per nome mi chiama.
Fuga di giovinezza
La stanca estate china il capo,
specchia nell'acqua il biondo volto.
Io vado stanco e impolverato.
nel viale d'ombra folto.
Soffia tra i pioppi una leggera
brezza. Ho alle spalle il cielo rosso,
di fronte l'ansia della sera
- e il tramonto - e la morte.
E vado stanco e impolverato
e dietro a me resta esitante
la giovinezza, china il capo
e non vuol più seguirmi avanti
I cipressi di San Clemente
Curviamo nel vento agili cime, fuochi,
vediamo giardini pieni di donne, di giochi
e di liete risa. Vediamo ancora gli orti
dove gli uomini nascono e poi ritornano morti.
Vediamo templi che in anni ora remoti
erano pieni di dei e di fedeli oranti.
Ma gli dei sono morti e i templi sono vuoti
e giacciono in mezzo all'erba i colonnati infranti.
Distese inargentate, valli a noi sono note
dove l'uomo è felice, poi si stanca e soccombe,
dove va il cavaliere e prega il sacerdote,
dove fratelli e stirpi si accompagnano alle tombe.
Ma la sera, quando vengono le tempeste,
in mortale angoscia noi ci chiniamo, mesti,
puntiamo le radici e aspettiamo tremanti
se la morte ci colga oppure passi avanti.
Notte
Ho spento il lume; la finestra aperta
ora la notte nel suo flutto bagna,
mi abbraccia mite come una sorella
e come una compagna.
Eguale nostalgia ci ammala e sogni
che sembrano presagi: con alterna
voce parliamo degli antichi giorni
nella casa paterna.
Il poeta
Solo a me, il solitario,
splendono della notte le infinite stelle,
mormora la fonte di pietra un canto malioso,
solo a me, il solitario,
traggono le ombre colorate
delle nuvole vaganti sogni fin sopra i campi,
Non mi fu data casa nè terra, non bosco,
nè bandita, nè mestiere, mio è soltanto
ciò che a nessuno appartiene,
mio è il rivo gorgogliante nel velo dei boschi,
mio è il mare spaventoso,
mio è il cinguettare dei giochi infantili,
lacrime e canti di amanti solitari nella sera.
Miei sono anche i templi degli dei,
mio il boschetto sacro del passato.
E non meno la celeste arcata del futuro
è la mia patria limpida:
spesso alata di nostalgia l'anima mia s’innalza
a scrutare il futuro di un’umanità beata,
amore, trionfante sulla legge,
amore da popolo a popolo.
Tutti io ritrovo nobilmente trasmutati:
contadini, re, mercanti e solerti marinai,
pastori e giardinieri ed essi tutti
festeggian grati la festa universale del futuro.
Solo il poeta manca,
lui, il contemplatore solitario,
lui, epiforo dell'umana nostalgia e smorta icona
di cui non il futuro, non il mondo
per il suo compimento ha più bisogno.
Appassiscono molte ghirlande sulla tomba,
ma il ricordo di lui si è già dissolto.
Il lupo della steppa
Io lupo della steppa trotto e trotto,
il mondo giace avvolto nella neve,
dalla betulla svolazza lento un corvo
ma in nessun luogo una lepre, un capriolo!
Dei caprioli sono tanto innamorato,
cosa sarebbe se potessi trovarne uno!
Lo prenderei tra i denti, tra le zampe,
non c'è niente di tanto iniebriante.
Sarei con lui gentile, affettuoso,
i denti affonderei nei tenui lobi,
mi sazierei del sangue suo scarlatto
per poi ululare nella notte nera.
E mi accontenterei anche di una lepre,
dolce il sapore, di notte, della sua calda carne.
Ma dunque tutto, tutto mi è negato
ciò che un poco rasserenava la vita mia?
Sulla mia coda già il pelo è ingrigito
e anche la mia vista mi s'annebbia e oscura,
da tempo mi lasciò la mia compagna.
Ed ora trotto e sogno caprioli,
trotto e sogno di lepri mentre il vento
sibila nel gelo dell'inverno,
la mia gola riarsa ingozza neve,
e l'anima mia misera dò al demonio.
Felicità
Felicità: finchè dietro a lei corri
non sei maturo per essere felice,
pur se quanto è più caro tuo si dice.
Finchè tu piangi un tuo bene perduto,
e hai mete, e inquieto t'agiti e pugnace,
tu non sai ancora che cos'è la pace.
Solo quando rinunci ad ogni cosa,
nè più mete conosci nè più brami,
nè la felicità più a nome chiami,
allora al cuor non più l'onda affannosa
del tempo arriva, e l'anima tua posa. 10- Alla malinconia
Nel vino e negli amici ti ho fuggita,
poichè dei tuoi occhi cupi avevo orrore,
io figlio tuo infedele ti obliai
in braccia amanti, nell'onda del fragore.
Ma tu mi accompagnavi silenziosa,
eri nel vino ch'io bevvi sconsolato,
eri nell'ansia delle mie notti d'amore,
perfino nello scherno con cui ti ho dileggiata.
Ora conforti tu le membra mie spossate,
hai accolto sul tuo grembo la mia testa,
ora che dai miei viaggi son tornato:
giacchè ogni mio vagare era un venire a te.